Racconto II

La Bestia di satana.
(Genesi)



Le cose, gli eventi, non credo che entrino in contatto casualmente con la vita d’una persona, non credo che ciò che ci accade durante un’intera esistenza, longeva o breve ch’essa sia stata le cose ci colpiscano con tal violenza e audacia casualmente, ma più avanzo con gli anni, più osservo lo scorrer delle stagioni e più credo che vi sia del vero in ogni singola leggenda, che vi sia del finto nelle parole delle sacre scritture e che vi siano effettivi dubbi su cosa sia l’effettiva realtà del mondo che noi oggi conosciamo.
Anche se v’è ancor oggi chi sostiene che mi sia semplicemente imbattuto nella vastità della nostra mente, in quel piccolo mondo a noi così tanto conosciuto di cui però ne sappiamo certamente solo e soltanto il nome…

Cominciò tutto quanto circa, circa…Oddio neanche più lo ricordo, pare strano a tratti sembra che sian passati solamente una breve manciata di secondi e alle volte sembra d’esser finiti preda delle così molteplici sfaccettature e piegature di questo tempo, così strano, così eccentrico, tutt’ora preserva per l’essere umano qualcosa di unico e mistico, quasi magico, un’innata capacità di dilatazione e contrazione a dir poco unica. Ma la cosa che ancor più mi sorprende è quanto sia folle, momenti brevissimi della durata di appena qualche secondo, tal volta così veloci da far nascere in noi l’insolita domanda “è realmente accaduto ciò?”, che diventano intere esistenze, appaiono hai nostri occhi, alla nostra sfera emozionale come qualcosa di eterno, o che per lo meno vivrà per sempre dentro di noi. E invece al contrario, momenti che finirebbero con l’occupare interi giorni, mesi o anni per accadere, che finiscono con l’apparire brevissimi, ci passano innanzi ad una tal velocità che a mala pena riusciamo a coglierli con l’occhi, mi basta pensare all’esistenza di una farfalla, l’essere che in assoluto ritengo la cosa più bella e perfetta mai vista dall’occhio umano, un’esistenza che sfiora la nostra vita, e finisce con il lasciarci l’amaro in bocca per non averla osservata abbastanza, una vita che termina nel giro di poche ore, ma la cosa che forse tutt’ora mi ferma il cuore, lo fa sobbalzare nel petto, squarcia la mia schiena con gelidi brividi e scuote la mia mente con frenetiche scosse, è che tutto questo, la breve e così impercettibile esistenza d’un essere perfetto, e l’eternità di alcuni singoli momenti, possa essere totalmente stravolta, i ruoli scambiati e ciò che appare come breve e perfetto diventi eterno e immondo, e ciò che appare come immortale nella nostra mente, diventi qualcosa di cui il ricordo verrà presto dimenticato.
Non ci sono regole, tutto ciò che sin ora è stato scritto, tutto ciò che sin ora è stato scoperto e capito temo si basi su regole che nel nostro mondo, quel pianeta ove vigono le singolari ed uniche regole che ogni individuo si pone, non funzionino, cadano miseramente nella pozza di fango creata dall’ipocrisia che giorno dopo giorno iniettiamo nella nostra vita, nella nostra anima, veleno per la mente, catene per la nostra vera natura.
Ricordo che la pioggia cadeva incessante, e l’ambiente attorno a me diveniva mano a mano più grigio, sembra che con il cadere della pioggia, con lo scivolare dell’acqua sui muri, sulle foglie, sulle persone, portasse via con se i colori, sembrava fosse divenuta gelosa…Ma, ma, un momento…Proprio qualche giorno fa, tornando a casa dal lavoro mi imbattei in un curioso signore, erano circa le undici di sera, e questa persona quasi in trance, danzava sotto la pioggia illuminato soltanto da qualche candela, e fu proprio questa la cosa che più mi colpi, le candele nonostante la pioggia erano accese. L’anziano uomo era completamente nudo, agitava le braccia cercando, boh, forse cercando di creare figure astratte nell’aria, e girava incessantemente attorno a queste candele che parevano persino estranee al logorio del tempo. Rimasi ammaliato da tale spettacolo, da così tanta naturalezza e incuranza di ciò che il mondo avrebbe pensato di lui, e rimasi fermo sotto la pioggia che cadeva sempre più fitta al osservarlo.
Volta il capo al cielo e la vidi, vidi una goccia che figurava diversa da tutte le altre, cadeva diritta verso di me, pareva un immacolato cristallo di ghiaccio e proprio poco prima d’imbattersi sul mio volto, sparì nel nulla. Il vecchio d’improvviso fermò la sua folle danza, le candele si spensero, e avvicinandosi a me mi sussurrò qualcosa che mi pareva strano, impossibile, beh impossibile cominciava lentamente a divenire una parola sempre più inappropriata per tale situazione “E d’un giorno arriverà l’anticipato tramonto, notte alla luce del sol, saran i colori ad esser rapiti, sarà la sottile e grigia pellicola della verità a ricoprire il mondo da voi conosciuto”. Dopo di che svanì nel nulla.
Come avrei mai potuto capire quella frase in quel momento, ma ora pare tutto così chiaro, la pioggia che inarrestabile precipitava stava lentamente rubando i colori di questo mondo, la notte alla luce del sol! Ma di certo non sarei stato io il profeta salvatore di tale situazione. Non riuscivo a nasconderlo, avevo paura. Sentivo la mente vacillare, il pensiero nell’oblio sprofondare. I passi pesanti affondavano nella tediose pozzanghere, la pioggia scivolava lungo il mio viso strappandone le forme, strappandone la grazia. Il cantilenante canto delle lugubri campane cominciò ad insinuarsi nella mia mente senza più uscirne, don, don, don…Pareva un ossessionante parassito che si nutriva della mia angoscia, angoscia che cresceva sempre più, dapprima cominciò con la pelle d’oca, dopo di che glaciali brividi che sembravano smembrarmi il petto, dopo di che penetranti fitte al cuor, se questa era la fine io ne ero l’agnello sacrificale, il capro espiatorio dei peccati dell’umanità intera. Il cantilenante canto si tramutò in un acuto tintinnio di piccoli e stridenti campanellini, scuotevano e incrinavano sempre più la mia mente. Cominciai a correre, l’acqua che sempre più sinistra corrodeva il mio volto, rubava il mondo che avevo conosciuto, e il tempo cominciò a dilatarsi terribilmente, osservavo la lancetta dei secondi scorrere sempre più lenta, appariva il lento trascinarsi d’un uomo oramai giunto alla deriva della sua vita, i sassi che sotto i suoi piedi penetravano nella debole carne, il vento che rendeva la pelle vitrea e fragile, l’acqua che ne corrodeva le forme, e la vita che lo abbandonava. Temevo d’esser caduto vittima del vizioso circolo dei reietti, li chiamano malati di mente, insani, hanno l’anima corrotta da satana dicono, vivono sospesi fra l’illusione che il male sia bene, che la vita sia una prigionia, e l’unico modo esistente per giungere alla tanto acclamata liberazione sia la morte, le bestie di satana.
Nella mia sfrenata e folle corsa, finii con lo sbattere contro una persona, urtai la spalla e caddi con il volto a terra. Come riaprii gli occhi, vidi che l’acqua attorno a me era screziata di rosso, eppure non veran più colori attorno a me, mi alzai, e specchiandomi sulla vetrina d’una negozio, osservai le mie lacrime, scarlatto sangue che neanche la pioggia riusciva a lavare, con le mani cercai furiosamente di togliermelo di dosso, ma niente era impossibile, qualcosa di indelebile, qualcosa che proveniva non dai miei occhi, non dal mio corpo, pareva che l’anima stessa, pareva fossero le amare lacrime del cuore. Mi guardai in giro, fantocci, involucri di pelle che mi passavano accanto senza degnarsi d’una domanda, di un semplice sguardo a quella che stava lentamente diventando un’immonda creatura priva dell’essere umano che entro noi vive. Provai a osservarli con più attenzione nei loro occhi, fantocci di pelle, burattini senza più essenza che popolavano il mondo circostante, neppur l’occhi più essi avevano, profonde crepe, nere, senza più espressione, senza più anima, ciechi che si destreggiavano su un mondo che lentamente sotto di essi marciva, ed io ne ero caduto all’interno, dentro quel meccanismo che si stava lentamente fermando, era solo questione d’attendere, ed il tempo inesorabile avrebbe fatto il suo lento ma irrefrenabile corso, tempo che mai si potrà riavvolgere e che destino lo ha condannato ad esser percorso solo verso il più nero dei futuri.
L’orologio più non scorreva, la lancetta dei secondi si era fermata , i numeri che prima segnavano le ore erano svaniti, un limbo senza più tempo. L’angoscia crebbe. Urlai, provai a urlare con tutta la forza che ancora viveva in corpo, ma niente, pareva d’esser muti, neanche il più sottile dei sibili ne fuoriuscì, stavo lentamente finendo il corso della mia esistenza da umano, stavo lentamente finendo dimenticato dagli occhi di tutti, un’altra ignota vittima che avrebbe alimentato il fuoco dell’infernal dio che loro, taciturne prostitute asservivano, che differenza c’è nel chiamare male o bene ciò che proviene dalla mano della stessa persona, ciò che ne è suo diretto discendente. Forse è proprio questo il castigo divino, venire reclusi in una realtà che giace fra la morte e la vita, questa è la conseguenza nel rompere le catene che qualcuno dal momento in cui veniamo al mondo ci stringe ai polsi, e quando ciò accade, gli angeli discendono su questa terra, fra i mortali, prendono le nostre sembianze, e beffeggiandosi di noi ci preannunciano la fine…Oh mio…Neppure più capivo ciò che la mia mente pensava, ne fuoriuscivano pensieri che mai eran stati miei, che mai avrei immaginato di poter concepire. La vita è una giostra, una giostra che gira senza tener conto di chi cade e di chi resta, e son i prematuri sacrifici che ne alimentano le fiamme di quel meccanismo che ne permette il moto.
Fuggii dalla strada ed entrati in una casa ove la porta era aperta. Finalmente fui al riparo dalla pioggia, dal tacito consenso dei ciechi becchini che eran divenute le persone. Terminai di pormi domande sull’esistenza o sulla giustezza della vita, erano divenute la cosa più lecita, ma la cosa più insensata da porsi, pensieri e parole che da me non provenivano, mi ritrovai a conoscenza di realtà e forse verità di cui mai ne avevo solamente sentito parlare, l’unica cosa che avrei voluto ora, era morire.
La stanza attorno a me era spoglia, solo fredde e tetre mura di nuda roccia, ne un quadro, ne un mobile, qualche candela color avorio ne illuminava gli angoli, le travi che componevano il pavimento sembravano marce, marce esattamente come il mio aspetto o almeno era ciò che io credevo. Passai le mani sul volto e mi accorsi di non lacrimar più sangue, osservai le mani e la pelle sembrava aver ripreso colore e forma, l’immonda e deforme creatura che prima correva sotto la pioggia, dentro questa stanza appariva diversa. Persino i vestiti erano nettamente differenti. Vestivo una specie di casacca blu acceso, degli stivali di pelle marrone e dei goffi pantaloni gialli, ma che…
Il palmo delle mani era tinto di bianco, i capelli d’improvviso divennero lunghi e rossi, ricci e setolosi, ero un clown? Un giullare di corte, ma che diavolo stava succedendo? Solitamente in questi casi, più si avanza nella storia, più eventi accadono e più le cose dovrebbero apparire chiare, ma in questo caso era esattamente l’opposto il tempo che si dilata e finisce con il fermarsi, le persone che divengono “spettri” viventi, le sembianze umane che si alterano, ciò non aveva senso, mancavano i tasselli fondamentali del puzzle per poter unire l’anello e ottenerne il suo significato. Ma…
All’improvviso il pavimento sotto di me scricchiolo, le travi di legno si ruppero e precipitai, un’interminabile caduta, avevo l’impressione d’esser finito all’interno d’un trucco, un gioco che, beh sì al pensiero mi rendevo conto d’esser divenuto folle, ma avevo la netta sensazione che il gioco di cui ero caduto vittima fosse stato un mio stesso gioco. Ora ero divenuto in nostalgico clown che annoiato tende tranelli alla sua stessa persona? Fu proprio osservando le mani che mi accorsi dei cambiamenti, mentre precipitavo nell’infinito pozzo cambiavo secondo dopo secondo aspetto, soldato, angelo alato, creatura infernale, vedevo il mio corpo corrompersi, prendere le sembianze d’un cadavere, divenivo un cane e poi una gentil fanciulla, poi un barbaro uomo ed in fine, me stesso. Credevo che ciò non avrebbe mai avuto una fine, credevo che ciò mi avrebbe accompagnato per la mia intera esistenza, esistenza che forse anch’essa era priva di una fine, attorno a me si plasmava ogni secondo un ambiente differente, alte e fredde montagne battute dal gelido vento glaciale, osservavo le persone morire di freddo, precipitare entro oscuri oblii e lì venire sepolte dalla candida neve, dalle montagne si passava all’arso campo di battaglia d’una guerra senza regole, ove erano i bambini e le donne a venir brutalmente trucidate, ove erano gli animali a venire ingiustamente condannati, poi finivo con l’osservare forse il più crudo degli spettacoli, madri che con le loro stesse mani affondavano le labbra nell’esil cranio dei loro stessi figli, e compiaciute, con un sinistro sguardo dai tratti euforico e maligno sollevavano le labbra madide di purpureo sangue, osservavo l’anime dei giovin fanciulli venir spezzate, condannate al limbo che me stesso tiene prigioniero, e le madri trasformasi in abominevoli presenze, senza più un profilo d’essere umano. Mi trovai catapultato nei profondi abissi ove erano gli spettri dei morti che come me furono condannati alla tortura della dimenticanza, ondeggiavano quieti e bui come angeliche danzatrici, spettri che per sempre ignoti saranno e mai pace del loro essere avranno, costretti a rimanere incatenati ad un corpo oramai senza più vita, un corpo che ben presto finirà con il divenire pasto per le creature che popola gli abissi di questo mare, scarnificatori di chi mai più riposo avrà.
Ed in fine…Si apriranno i cancelli, demoni e spettri ne sgattaioleranno fuori, vivranno in mezzo alle persone, agiranno nell’ombra, nell’omertà che tutti ha catturato e nel silenzio l’esistenza dell’uomo finirà…

Chiusi il piccolo diario, mai saprò ciò che su quelle pagine v’è scritto…
E’ il male che parla.


Avete voi condannato a marcir sull’infernal fuoco il vostro stesso esser, e sarà lì che tutti voi vi ritroverete, e sarà lì che voi tutti la vostra esistenza finirete. Perché troppo tardi oramai è, e dello stesso satana ne siete divenuti i servitori.