Racconto I

La coscienza del morto


Ricordo che me lo chiesero in molti, mi chiesero quale per me fosse il significato di libertà...
Prendo come esempio un'uomo recluso in un carcere, vede la realtà attraverso le fredde sbarre di una cella, sogna la libertà che forse mai più avrà, forse preferirebbe la morte ad una vita in gabbia, senza libertà. Già è così che dicono, la morte libera l'anima, la morte è dolce e sinuosa, una passeggiata verso casa...

Ricordo ancora il sottile rumore dei sassi sotto i miei leggeri passi, scricchilavano soavemente, attorno a me interminabili distese d'erba e fiori, ricordo che vi era una leggera brezza che sembrava adular l'erba, la faceva oscillare, dondolare dolcemente, accarezzava i vellutati petali dei fiori, si infiltrava fra ogni singolo petalo per poi scivolar via, come un ricordo, un bellissimo ricordo da cui mai una persona se ne distaccherà...
La strada era delimitata da alberi, sì, un lungo viale alberato sotto i caldi raggi del sole, attorno a me una silente e soleggiata campagna, un ritorno a casa...
Così mi avevan detto, un ritorno a casa dopo una lunga ed estenuante guerra, in cui si aveva assistito ad orribili scene, un reale film horror in cui noi ne eravamo gli attori e dio il regista, avevo assistito a qualcosa che si vuol credere finzione, a qualcosa che non si vuol credere reale, chiudevo gli occhi e ripetevo dentro me che era solo un sogno. E questo soleggiato ritorno a casa era ciò che mi serviva, era ciò che serviva alla mia mente per riposarsi, ritrovar la pace dei sensi, ritrovar il piacere alla vita, un ritorno alla normalità...
Camminavo, procedevo silenzioso lungo la taciturna strada, sino a che, no, non era così, non era quel soleggiato e tranquillo ritorno a casa, tutto d'un tratto il paesaggio cominciò a mutare, osservavo la corteccia degli alberi scomporsi, disgregarsi, divenir nera e precipitare a terra, la strada mano a mano che avanzavo diveniva un sentiero dissestato e coperto di intricati rovi, ed i campi, i verdi ed interminabili campi così più non erano, infinite distese nere di terra bruciata, corrosa dalla morte stessa...
Ciò che prima era un calmo sentiero, ora appariva come una discesa negli inferi, una lunga ed interminabile marcia verso qualcosa d'ignoto.
Non vi era neppure più il sole, o per lo meno il sole che voi tutti conoscete, v'era un'enorme sfera nera dai riflessi porpora, l'ultimo tocco dell'artista, l'ultimo effetto di scena...
Ricordo che sentivo il freddo dilagare dentro di me, insinuarsi sempre più a fondo, uccidendomi istante dopo istante lentamente, senza provar pietà, senza poter combattere o potervi porre la parola fine. La mia discesa era cominciata e non potevo più tornar indietro.
Diario ore, ore? Che ore sono? Diario? Quale diario? Sono morto e ancor mi chiedo che ore siano Un diario? Perchè mai tenere un diario, tutto questo non aveva più senso, tutto questo non aveva più uno scopo. E perchè ancora pensavo?
MI dissero sempre che la morte è dolce, che la morte è leggera, ti tende la mano dolcemente, pronuncia un'amichevole sorriso con le labbra e ti conduce alla sua barca, ma ahimè, per me non vi fu nessun sorriso, nessuna barca e nessuna mano tesa. Porto ancora con me sul mio corpo gli aspri segni di quel veleno di quel veleno mortale, ancora sul mio viso posson legger l'agoinia, l'angoscia di ciò che ho visto, il volto di una persona rapita, violentata dalla morte stessa.
Tutto questo non aveva senso, come potevo mai percepire il senso di freddo, come potevo mai chiedermi su come il freddo mi avrebbe ucciso, esiste anche nel mondo dei morti la possibilità di poter morire? Esiste anche nell'aldilà la pietà?
Sentivo piangere, sentivo il triste singhiozzo di una ragazza accanto a me, ah sì certo, era lei, la persona che amavo, anzi che tutt'ora amo, la persona che non voglio abbandonare mai, ma ora, non avrei potuto far altro, giaccio qui, senza vita dentro questa fredda cassa di legno, e non tarderà l'aria ad uccidermi, a consumarmi e a farmi sparire come polvere al vento. Le avrei voluto dire quanto ancora l'amo, le avrei voluto dire che sarei sempre stato al suo fianco, che le avrei asciugato ogni singola lacrima, le avrei voluto dire che non l'avrei abbandonata mai, e che se ancora ero morto, sarei sempre stata con lei, ma purtroppo ero lì immobile, un corpo senza vita pallido e freddo come il ghiaccio, non le avrei mai potuto dire che l'avrei amata per sempre, ero morto, e mai più le avrei potuto parlare...
Questo e ciò che vuole dio? Questo è ciò che per me ha riservato? Questo è quello che chiamano paradiso? L'impossibilità d'amare, la maledizione di poter pensare ma non comunicare, c'è qualcosa di sbagliato in tutto questo, c'è qualcosa che andrebbe cambiato ma che io non posso modificare, questo racconto avrà uno dei più tragici finali...
Sarò destinato a sparirè, svanirò come un lontano ricordo spazzato via dalla pioggia, lentamente il mio volto svanirà come fumo dalle foto, foto che prederanno i colori, il controno delle forme diverrà sempre più irregolare, una linea che subisce la forza del tempo, una linea che si perderà nello scorrere del passato, nello sprofondare dello stesso in ignoti crepacci, e giorno dopo giorno diverranno sempre più sfocate e lontane...
Sarà quindi questo il mio destino? Un'animo ancora in grado di poter provar sentimenti, emozioni se così si possono chiamare, ma che sarà destinato ad essere consumato dalle formiche, ad essere spazzato via dal vento, ad essere dimenticato dal mondo...
Sentivo la persona che amavo piangere, uccisa dal dolore, sentivo la tristezza che irrompeva in lei, il dolore che la dominava, ed io non potevo far nulla, non potevo porvi alcun rimedio, può un morto che pensa cambiare la realtà?
La stanza attorno a me era completamente bianca, ed una luce fredda inondava il mo volto, una luce? Vedevo? Vedevo con gli occhi chiusi? Cosa mi stava accadendo? Ero davvero morto? C'è qualcosa di veramente sbagliato in tutto ciò...
Ad un'tratto ecco, il buio, l'ombra cadde improvvisamente su di me, accompagnata da un secco rumore, un qualcosa che batteva sopra me, ecco l'aria che comincia a mancare, l'ombra...
D'improvviso cadde anche il silenzio, non vi fuorno più pianti, non vi fuorono più singhiozzi, solo il silenzio.
Ed ora? Mi muovevo, percepivo il mio corpo che si muoveva nello spazio, sentivo due uomini parlare avanti a me, parlavano delle loro famiglie, vive credo, mentre loro, persone abiutate più a vivere con i morti che con i vivi, ne osservavano i volti spenti, gli occhi senza espressione e le labbra serrate, un'ordinaria routine...
Ed ecco, questa forse era quella che sarebbe stata la mia ultima abitazione, già, avevano dato chiare disposizioni, e così era stato, quattro mura, quattro fredde mura. Sentivo l'aria gelida filtrare attraverso una piccola fessura, e di tanto in tanto qualche piccola goccia d'acqua finiva con il cadere sul legno scuro della bara, scivolare lungo lo spigolo e finire con il perdersi nel gelido e tetro cemento. Quattro mura, ecco dove la mia anima avrebbe riposato per l'eternità, una volta che il mio corpo sarà polvere, una volta che la mia bara svanirà nel nulla, sarà fra queste fredde quattro mura che finirò la mia vita, sarà fra queste quattro mura che la mia anima giacierà per sempre. Ed ora mi chiedo quale differenza ci sia fra una galera, fra le nere sbarre di una prigione, e il girgiore di questa tomba, ogni posto è una prigione, non importa se tu sia vivo o morto...
Ma aspettate, se io ero capace di pensare, di parlare, allora anche qui, nel posto in cui tutti i trapassati riposano vi sarà qualche altro morto come me...

No era inutile, già troppo tempo era passato, forse è questo che si intende come sonno eterno, forse è proprio questo, muoriamo, il nostro corpo viene consumato, ma l'anima, il pensiero la mente rimango incorrotti, vivi, e siamo noi a decidere quando addormentatrci, quando lasciarci andare e spegnerci, sprofondare in un sonno da cui nessun altro ci avrebbe mai potuto risvegliare, suona triste come cosa, desolazione, solitudine.
Ora anche l'aria non filtrava più, era terminata, rimaneva solo il sottile rumore dell'acqua, forse anche questo prima o poi sarebbe finito con l'estinguersi, e sarei rimasto io, solo, fra queste freddi pareti, assieme a tutte le anime dormienti di ragazze, uomini o bambini, anime assopite che mai più si sarebbero risvegliate.
Qui non c'è nessun paradiso, nessuna nuvola, nessun angelo che intona inni alla gioia, solo solitudine, desolazione, ed un'immenso senso di innaturale angoscia, le paresti che piano piano ti soffocavano, finivano con lo schiacciarti, con lo schiacciarti i pensieri, le sentivo incurvarsi verso di me, osservarmi, giudicarmi, qui persino le pareti sono vivo, non solo i morti...
Non mi rimaneva altro che decidere, scegliere fra il rimanere sveglio e pensare, pensare alla persona che amo, pensare a ciò che avrei potuto far con lei, pensare ai momenti che avrei perso, che non avrei mai vissuto, oppure spegnermi, dormire per sempre, diventare parte del mondo del silenzio, diventare parte stessa della morte, unirmi all'universo d'anime dormienti...
E a questo punto rimaneva solo una cosa da chiedermi...
Anche i morti posson piangere?